sabato 1 marzo 2014

Inside Llewyn Davis


Un uomo nel metrò, un gatto e una chitarra: è il Greenwich Village degli anni ’60. 
Un incessante vagabondare di note e storie da raccontare nel buio dei locali notturni in una New York dipinta da cantori tristi, senza letto e senza amori. E tra i padri del folk americano si leva il nome di Dave Van Ronk, alla cui vita si ispira quest’ultimo film dei fratelli Coen. 

Ed è una triste introspezione questo viaggio nel cuore di Llewyn Davis: un  giro amaro in una vita desolata e sofferente scandita da una colonna sonora che è una scintilla vivace che scalpita all’ombra di una fotografia blu notte e gelida, come un caffè ardente dopo aver camminato sulla neve. Oscar Isaac dà il volto alla solitudine del musicista che non si lascia scappare e ogni volta ritorna. Tornano i Coen delle storie intime, delle sceneggiature magistrali e delle sensibilità musicali. Tornano i visi segnati dalle illusioni,  e gli occhi socchiusi della sera.


Un cinema più maturo rispetto ai tempi di Lebowski, il drugo con il debole per i cowboy come concetto, che si è evoluto e oggi parla di un uomo senza qualità che, se nella vita è destinato al fallimento, riesce a fare dell’intero film, un’estatica esperienza sonora. Incantevoli corde sfiorate, malinconici banjos pizzicati e Inside Llewyn Davis è pronto per il suo pezzo finale, quello che avrebbe sancito l’inizio dell’immortale leggenda.

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